(C) Roberto Molinari, Chiesa di San Pietro, Gemonio, 2010 |
In questo modo Roberto Molinari ha
dato al mondo dell’arte e agli artisti la sua personale poetica di ripresa
attraverso la fotografia. Attivo da oltre trent’anni in territorio varesino e
nazionale, Molinari era passato dalla passione per il disegno a china e matita,
che coltivava con grande raffinatezza, a metà anni Ottanta, all’amore per la
fotografia d’arte e di reportage poetico, lui stesso stampatore dei suoi
indimenticabili bianchi e neri. Con chi firma questo articolo ha scattato
migliaia di fotografie in studi, atelier, mostre d’arte, vernissage, conferenze
stampa, pubblicate anche per Varese Mese,
La Prealpina, Lombardia Oggi, Avvenire, Il Caffè dei Laghi tra il 1988 e il 2000,
per Meta e per Il Colpo dei Barbari, riviste internazionali, ma soprattutto veniva
chiamato dagli artisti per la sua capacità poetica di documentare il lavoro
dell’arte e il suo esito pubblico rispettando la personalità dell’autore,
accentuandola naturalmente. Con leggerezza, pudore, semplicità e sincerità, si
muoveva intorno ai soggetti quasi
impercettibilmente, come uno spirito che coglie l’apparire segreto del mondo.
La sua fotografia possiamo
ribattezzarla ‘photosophia’ perché la
sua attenzione era all’anima e al senso delle cose, in relazione una con
l’altra. Non si limitava a riprendere le opere d’arte destinate a essere
scontornate su un catalogo, le faceva vibrare dello spazio circostante, della
luce interiore, del significato per un preciso momento storico o un moto
sentimentale. La sua è stata una fotografia essenziale, piena di verve, a volte drammatica, a volte
gioiosa, sempre rispettosa di ciò che andava a immortalare per sempre, in
connessione col senso della vita. La sua ispirazione ci ha insegnato a vedere
il mondo con la sua delicatezza poetica tanto da rendere icona ogni cosa che
fotografava, come nel 2016 il grande lavoro per Lucio Fontana nella casa
di Comabbio dove ha documentato, insieme ai nipoti del grande artista, in modo
essenziale e poetico i suoi strumenti, come taglierino e colori, e i suoi
indumenti di lavoro nell’ambiente di design domestico. La macchina fotografica,
l’obiettivo, erano il prolungamento della sua visione cerebrale ed emozionale,
tanto quanto era noto per le sue contorsioni nello scatto per carpire le
visioni dai punti di vista più segreti. La fotografia all’Arte diventa foto
d’arte per Molinari, l’artista e l’opera, ritratti senza posare, assumono una
caratteristica universale, diventano degli ‘exempla’ del mondo, sono l’attimo
fermato di un divenire di materia fattasi luce nell’obiettivo del fotografo.
Scultori, pittori, performer, scrittori, nell’inquadratura percepita dalla mente
dell’autore diventano scena e teatro di un compiersi unico e senza eguali.
Diventano tempo, ciò che la fotografia è fin dalle sue origini. Come scrisse
Roland Barthes «Ora so che
oltre al particolare esiste un altro punctum
(un’altra stigmate). Questo nuovo punctum, che non è più di forma, ma di intensità,
è il Tempo, è l’enfasi straziante del noema (“E’ stato”), la sua
raffigurazione pura».
Dal 1986 a marzo 2017, Roberto ha
raccolto, creandolo, materiale fatto di Tempo e Storia, lo ha percepito in primis col suo cervello e occhio e
solo in seguito con la visione lo ha restituito al pubblico dal suo primo gesto
intimo e poetico. La galleria che lui stesso ha composto nei suoi archivi è
Memoria. La Fotografia blocca in un istante l’esperienza senza pretendere di
farla accadere. In repertori che compiono cicli e cicli in decenni, lo stesso
artista fotografato, l’opera contestualizzata in modo differente, l’ambiente
culturale - sia esso museo, mostra, chiesa, teatro o sala di musica - sono attimi
che mutano nel tempo, ma attimi dove l’azione è bloccata e il suo dato di
pathos lo raccoglie dall’inquadratura cristallizzata del fotografo un pubblico
che, osservando, innesta la propria storia biologica ed emozionale. Per questo
le fotografie d’arte hanno un valore per la collettività e vanno restituite
alla società nella forma che tutti apprezziamo, la mostra, la pubblicazione,
l’evento di ricerca per farne nascere altri spunti e altre riflessioni.
(Debora Ferrari)